Ieri sera sono andata a sentire
una conferenza sulle maree, nell’ambito di un ciclo di conferenze di astronomia
e astrofisica, organizzato da un’associazione di astrofili.
La conferenza - per inciso, molto
interessante e ben presentata, con delle utilissime animazioni – è stata
introdotta dal responsabile dell’osservatorio astronomico, il quale, per prima
cosa, ancor prima di presentare il relatore, ha ritenuto opportuno consigliare
al pubblico un libro contro l’astrologia. Per la cronaca, il libro in questione
è Astrologia – tutto quello che gli
astrologi non vi dicono di un certo Nando Tonon, con prefazione di Walter
Ferreri, Elena Morea Editore: un libro stupido e banale, con argomentazioni
superficiali, sempre al limite del puro dileggio.
Mi incuriosisce sempre tutto
questo livore degli astronomi nei confronti dell’astrologia. Gli astronomi,
dall’alto delle loro certezze scientifiche, dovrebbero essere al di sopra di
queste meschinerie. Perché tanto livore nei confronti di una disciplina che, ai
loro occhi, semplicemente non ha motivo di esistere? Fossi in loro, mi
limiterei semplicemente ad ignorare questi portatori di un sapere arcaico, che
a partire dall’osservazione del cielo arrivano a conclusioni totalmente
irrazionali, prive di alcun fondamento scientifico. E invece no, si
accaniscono. Perché?
Gli antichi dicevano che l’astrologia
è una scienza e un’arte: una scienza perché parte rigorosamente dall’osservazione
del dato astronomico e quindi della meccanica celeste, e un’arte perché per
dare un senso a ciò che vede passa dalla visione meccanicistica di un mondo
lineare e causale, propria del paradigma newtoniano e quindi di ogni scienza, ad
una visione non lineare propria delle discipline che, a parità dei dati di
partenza, non consentono l’esatta riproducibilità del fenomeno, come la
medianità, la parapsicologia e la divinazione. Infatti, a partire dal dato
astronomico, l’astrologia non è in grado di predire con esattezza eventi
specifici, ma è in grado di fare pronostici che ci parlano del futuro, grazie
alla comprensione dei modelli che stanno per emergere dal caos creativo dell’indifferenziato,
leggibili su una mappa detta oroscopo.
Questa capacità dell’astrologia
di passare da una valutazione della realtà oggettiva, propria del pensiero
lineare e razionale, ad una visione non lineare e ciclica propria del pensiero
pre-storico, è ciò che le consente di collegare il cosmo all’umano, e di dare
un senso personale ad un’esperienza impersonale. Credo che il nocciolo del
problema stia tutto qui, nell’incapacità dell’astronomo di dare un senso
personale a ciò che osserva. Dato e senso non viaggiano più in tandem, e l’astronomo
si trova ad osservare un cosmo privo di incanto, in cui non si riflette e che
non riesce più a dare un senso personale alla sua vita. Invece di ostracizzare
l’astrologo, credo farebbe bene a chiedersi che cosa lo induce a volersi ancora
sentire un estraneo in un universo muto.
2 commenti:
Cara Alessandra,
non è soltanto un problema degli astronomi, a mio modesto avviso. Il mondo è pieno di persone che per mascherare i propri limiti se la prendono con qualcuno, dalla politica alla scienza alla religione. Sarebbe meglio cercare punti di contatto, ma forse la collaborazione ci costringerebbe ad accettare la nostra ovvia non-onnipotenza.
Già, mia cara Raffaella, ammettere che non ci sono certezze è una delle cose più difficili
Posta un commento